Nel famoso “test del marshmallow” di Walter Mischel, un bambino viene lasciato da solo davanti ad appetitosi dolciumi: può mangiarli subito oppure attendere 15 minuti per averne in premio una doppia razione. Alcuni bambini sapranno aspettare, altri mangeranno subito, altri ancora mostreranno ansia, angoscia e rabbia. Mischel ha poi seguito nel tempo i gruppi omogenei ed ha dimostrato che quelli dotati di autocontrollo divenivano adolescenti più maturi e responsabili degli altri. La capacità di ritardare la gratificazione era correlata, inoltre, con migliori risultati scolastici e maggiori punteggi nei test di ingresso all’università (1). Successive indagini sul campo hanno dimostrato, con alta significatività statistica, che un buon autocontrollo predice molti risultati adattivi a lungo termine, tra cui l’idoneità fisica, la salute mentale ed il rendimento scolastico (2).
Che cosa possiamo imparare da queste fondamentali ricerche? Innanzi tutto che affrontare l’attesa sviluppando l’autocontrollo è una forma di intelligenza emotiva che conviene allenare sin dall’infanzia, visto che questo premierà meglio e più a lungo quando si andrà ad occupare il proprio posto nella società. I principali destinatari della teoria, quindi, sono i genitori che spesso gratificano in modo troppo cedevole i figli, concedendo loro benefici senza allenare il desiderio insito nell’attesa e senza valutare alcun merito. Addirittura molti genitori gratificano i figli senza che ci sia neppure una richiesta, forse per farsi perdonare distrazione ed assenza, e placare così la coscienza.
L’attesa non è una perdita di tempo ma ha un proprio valore pedagogico perché implica una tensione verso qualcosa. Allenare all’attesa, all’autocontrollo e alla gratificazione posticipata può contribuire a prevenire la “sindrome da noia” di cui spesso sono affetti gli adolescenti, sui quali ricadono le mancanze dei genitori. Imparare ad aspettare è un importante processo di crescita, se non viviamo l’attesa come tempo perso ma come introspezione di noi stessi che, nel soffermare lo sguardo, siamo stimolati a riflettere e interrogarci. Attendere è mettersi in ascolto, riconoscersi capaci di trovare soluzioni alternative a ciò che desideriamo. Nel desiderare ciò che manca si attivano inoltre capacità volte al raggiungimento dello scopo ed importanti competenze emotive, tra le quali il problem solving (3). L’attesa può pertanto essere correttamente vissuta come un tempo necessario, a volte fisiologico perché qualcosa accada: un ottimo esercizio per sviluppare nei bambini la dimensione del “tempo necessario” è quello di realizzare un piccolo orto, anche sul balcone di casa, che li allena alla pazienza, alla comprensione dei ritmi naturali e dei tempi dormienti, una pazienza poi premiata dalla raccolta dei frutti. Attesa è imparare a desiderare, soprattutto nel mondo attuale della frenesia fasulla e del tutto&subito, in cui anche i desideri hanno i tempi brevi dei caduchi oggetti materiali di cui ci circondiamo senza peraltro essere mai soddisfatti.
Come insegnare ai bambini a cogliere il senso dell’attesa e dell’autocontrollo? Il buon esempio è sempre la via maestra: se manifestiamo intolleranza nelle situazioni in cui occorre aspettare è facile che il bambino acquisisca lo stesso schema di comportamento. Anche il saper dire no, non concedere tutto e subito, abitua il bambino al limite, a saper attendere che il proprio desiderio sia soddisfatto. Importante il ruolo degli insegnanti che nell’epoca della velocità fine a sé stessa dovrebbero recuperare la dimensione della lentezza, perché quello che appare tempo perso è il modo più idoneo per favorire i processi di apprendimento e di crescita. La fretta uccide la creatività e lo stupore, perdere tempo è in realtà tempo valorizzato nell’ascolto e nella relazione come modalità elettiva per favorire un processo di rafforzamento della persona.
Nella scuola dell’infanzia e primaria non bisogna mettere fretta, i piccoli devono apprendere in modo naturale e nel rispetto dei loro ritmi. Inoltre è molto importante aiutare i bambini più piccoli a saper attendere per sviluppare l’autocontrollo quale componente della coscienza, perché coltivare la gestione delle emozioni è premessa indispensabile per la sua formazione. Una coscienza emotiva è il risultato di processi interiori e relazionali che si sviluppano soprattutto nei primi anni di età, di valori acquisiti, come la capacità di provare empatia, senso di colpa e self control. Gli studi citati rilevano che i bambini in età prescolare più propensi all’autocontrollo, sono più coinvolti, sentono lo spirito di gruppo, aiutano gli altri, hanno meno problemi sociali. L’insegnante può rafforzare lo sviluppo dell’autodisciplina come elemento della coscienza, se coltiva buone relazioni con gli alunni, li apprezza come persone, è aperto al confronto, gestisce i conflitti con giustizia. La capacità di aspettare può essere allenata nel corso dell’apprendimento, è intimamente legata al pensiero razionale e creativo, ed in questo senso aiuta a formare nel bambino l’intelligenza emotiva (4). La coscienza è l’antidoto all’impulsività, normale nei più piccoli che non hanno ancora sviluppato una volontà, ma problematica nel prosieguo della crescita se non arginata dall’autocontrollo. E’ nell’attesa che i bambini pongono le fondamenta della loro coscienza attiva, imparano a gestire la frustrazione alimentando il rispetto per l’altro. Senza la capacità di attesa l’autodisciplina è debole, tutto verrà vissuto con insofferenza, insoddisfazione, frustrazione, impulsività ed anche rabbia.
In definitiva, insegnare a gestire la frustrazione dell’attesa è un compito pedagogico importante delle famiglie e della Scuola, perché rafforza la crescita della coscienza dei piccoli facendone persone consapevoli e rispettose degli altri. “Quando mi chiedono di riassumere il senso ultimo delle mie ricerche sull’autocontrollo – per concludere con Mischel – ricordo sempre il famoso motto di Cartesio penso, dunque sono. Le recenti ricerche sull’autocontrollo ci permettono di trasformare la sua asserzione penso, dunque posso cambiare ciò che sono”. Tra il “sono” ed il “posso essere” c’è di mezzo l’educazione in senso lato intesa.
Riferimenti bibliografici essenziali
(1) Mischel, W., Ayduk, O., Berman, M. G., Casey, B. J. , Gotlib, I.H., Jonide, J., Kross, E., Teslovich, T., Wilson, N. L., Zayas, V. y Shoda, Y. (2011). ‘Willpower’ over the life span: decomposing self-regulation. Social Cognitive and Affective Neuroscience, 6(2), 252-256. https://doi.org/10.1093/scan/nsq081
(2) Gianessi, C. (2012). From Habits to Self-Regulation: How Do We Change?. YJBM, 85(2), 293-299. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3375665/
(3) Ruiz, M. H. (2020). ¿Cómo aprendemos? Una aproximación científica al aprendizaje y la enseñanza (1a edición). Editorial Graó
(4) Goleman, D. (2020ristampa). Intelligenza emotiva, Fabbri editore
Maria Orifici è insegnante di “Arte e Immagine” nella Scuola secondaria di primo grado. Laureata all’Accademia di Belle Arti di Roma, ha maturato una pluriennale esperienza in campo teatrale, poi nella pianificazione, gestione e valutazione di percorsi formativi sulle soft skill. E’ coautrice di diversi volumi per LS Scuola.