Ha fatto molto discutere la decisione dell’importante editore britannico Puffin che, in accordo con la Roald Dahl Story Company, ha introdotto una serie di modifiche ai testi dei suoi romanzi per bambini e ragazzi. Le edizioni più recenti delle opere di Dahl, in effetti, sono state pubblicate con termini molto più neutri rispetto a quelli delle precedenti edizioni. L’operazione di edulcorazione ha lo scopo di eliminare i riferimenti al genere, alla razza e al peso, modificando molti dei termini più espliciti che caratterizzano le opere dello scrittore gallese.
In nome del “politically correct”, parole come “grasso”, “nano”, “piccolo”, “brutto” sono state dunque modificate, in modo tale da non risultare offensive per nessuno dei lettori di oggi, assumendo come premessa scontata un presunto cambiamento della sensibilità generale rispetto all’epoca in cui Dahl scriveva i suoi testi.
L’iniziativa editoriale ha però suscitato un vespaio di polemiche da parte di molti esponenti del mondo della cultura, ma anche da parte dei lettori, i quali sostengono che la semplificazione a tutti i costi della complessità del reale “per non offendere nessuno” è un atto di violenza inaudita, semplicemente un abominio.
Era davvero necessario questa rivisitazione? Ci sarà lo stesso trattamento per aggettivi “basso”, “corto”, “lento”, “stupido”, “intelligente”? Altre case editrici si adegueranno trasformando la ricchezza della diversità dello stile degli autori in un rumore di fondo piatto e senz’anima? E gli editori per bambini forniranno agli autori linee editoriali ispirate al politicamente corretto?
La verità è che siamo tutti diversi, non siamo uguali per nulla e gli aggettivi servono proprio a questo, a ricordarcelo nonostante apparteniamo tutti ad un’unica specie, quella umana, ed è l’unico ambito di uguaglianza che ci compete in natura.
Probabilmente dovremmo adoperarci a garantire gli stessi diritti alle più disparate diversità di questo mondo, la diversità è un dato oggettivo e ciò che fa la differenza è l’uso che se ne fa. Nella lingua italiana esistono da sempre aggettivi dispregiativi che danno una sfumatura più precisa ad una frase, resta evidente che il problema è solo educativo e non è impoverendo il lessico che si educano i ragazzi, piuttosto si dovrebbe insegnare loro a contestualizzare il contesto. Ogni libro, ogni film, ogni forma d’arte e di pensiero sono stati e sono figli dei loro tempi.
Quando si inizia ad imporre un pensiero unico, un’unica direzione od ottica si finisce nel cadere irrimediabilmente in quelle limitazioni, in quelle censure che tolgono libertà nonché senso critico all’individuo. Censurare ed edulcorare non significa rispettare le sensibilità ma prosciugare qualsiasi moto di fantasia, qualunque idea rappresentativa della realtà, sterilizzare ogni progetto futuro, significa spegnere menti e cuori e creare un mondo di meri consumatori incapaci di reagire ad ogni barbarie come questa, che vorrebbe vocabolari dimezzati, arti incanalate e statue con le mutande.
I libri di Roald Dahl possono essere certamente valutati in termini critici, ma questo spetta ai lettori, agli insegnanti ed alle famiglie. Privare i bambini di una lettura in cui loro stessi sono i protagonisti non solo della storia, ma di un modo di agire, pensare e vedere il mondo sarebbe una sconfitta, per tutti.
Il ruolo della Scuola e dell’editoria per la Scuola, non è solo quello di mero esecutore di una morale dominante o di teorie apprese, ma deve stimolare la fantasia dei bambini, farli sentire protagonisti del processo di costruzione del sapere, un sapere condiviso che non viene proposto loro come qualcosa di statico e preconfezionato, un sapere in continua costruzione, che faccia di loro delle menti pensanti e autonome.
La Scuola si dovrebbe proporre come luogo di accettazione di ogni bambino, in quanto portatore di un’unicità che lo rende differente rispetto agli altri, senza mai mortificare, umiliare, deridere o sminuire, soprattutto senza mai pretendere di omologare e affermare che “si è tutti uguali” senza spiegare che si è tutti uguali nella misura in cui si è tutti diversi.
Sara Persechino, Psicologa, Laureata in Psicologia Applicata Clinica e della Salute. Specializzata in DSA, BES, Disturbi dello Spettro dell’Autismo e Disabilità in ambito sportivo. Opera attualmente come progettista sociale e consulente nell’ambito delle organizzazioni non lucrative con finalità sociali nell’area educativa, culturale, scolastica e promozione del benessere.