Oggi invitiamo a riflettere sul significato del termine alfabetizzazione (literacy), una questione gravissima nei paesi poveri ma paradossalmente urgente anche nei paesi opulenti e segnatamente in Italia. Non basta più saper leggere, scrivere e far di conto, un cittadino attivo deve essere in grado di comprendere messaggi di genere diverso (giornalistico, letterario, tecnico…), di complessità crescente, in contesti diversi, mediante supporti diversi (cartacei e multimediali). Essere cittadini consapevoli significa lavorare continuamente alla costruzione della propria personalità, al compiuto inserimento nel sociale, ad essere aperti a nuove forme di educazione ed esperienze multiculturali.
Numerose ricerche, come quelle estremamente interessanti condotte da Tullio De Mauro, dimostrano l’assoluta inadeguatezza del livello di literacy degli italiani. Per capire come votare un programma di governo di una qualsiasi coalizione politica, ad esempio, il cittadino medio deve poter disporre di una informazione minima necessaria sui vari argomenti che è fuori della portata delle competenze della maggioranza della popolazione italiana. Il livello di competenza oggi necessario per capire qualcosa nella complessità del reale, tra comunicazione sempre più addomesticata agli interessi economici e massive fake news, su come scegliere una soluzione o l’altra, addirittura su cosa sia meglio mangiare, richiedono una struttura formativa robusta, aggiornata e permanente.
Come coltivare le competenze trasversali?
Il sistema dell’istruzione deve essere in grado di servire competenze più diversificate e più complesse, alte e generalizzate, di quanto non fosse richiesto appena 30 anni fa. L’unica alfabetizzazione oggi possibile ed efficace deve essere permanente, un continuum formativo pre-scuola, scuola e post-scuola, nella finalità di coltivare una sfera di competenze trasversali, emotive, comunicative, digitali, elaborative, sia cognitive che funzionali, necessarie nel loro complesso allo sviluppo del pensiero critico.
Una delle principali problematiche irrisolte del sistema formativo italiano, certamente non l’unica, riguarda la digital literacy, una criticità che ostacola più di altre l’alfabetizzazione funzionale. Lasciare i bambini liberi di utilizzare il digitale, senza regola alcuna? Oppure limitarne o addirittura vietarne l’uso? Visioni manichee e contrapposte si alternano, senza cogliere l’essenza del problema. I dispositivi digitali non vanno certamente demonizzati e possono anzi essere una risorsa, ma vanno utilizzati con grande cautela, soprattutto nei primi anni di età. Il bambino deve essere educato alla varietà ed avere la possibilità di conoscere altre e diverse attività ludiche o comunque relative al tempo libero. Nell’ambito della sua dieta culturale, potrà così collocare i dispositivi digitali nel giusto ambito senza esserne soggiogato.
Conoscenza come bisogno permanente
Nella situazione attuale di perdurante “distrazione” delle istituzioni, l’educazione all’uso consapevole delle tecnologie è un compito che spetta alle famiglie, agli insegnanti ed anche alle case editrici del settore. Fruire la tecnologia senza mediazioni porta all’isolamento, mentre inserirle in contesti condivisi di alfabetizzazione orienta il bambino ed il gruppo di adulti di riferimento al confronto, alla condivisione, a costruire scale di valori comunitari coerenti alla cittadinanza attiva. In generale, l’educazione precoce e quella permanente richiedono un lavoro di squadra, l’attivazione di reti e sinergie che rendano la conoscenza un bisogno permanente e sempre presente, indispensabile come il pane, per autogestirsi nel mondo sempre più complesso in cui si vive. Senza dimenticare mai che l’educazione non deve essere sempre finalizzata ad uno scopo funzionale ma pure deve suscitare emozione, stupore, incanto e divertimento.