Correva l’anno 1871 e all’indomani dell’Unità d’Italia, il bel Paese sosteneva un periodo di cambiamento e di stabilizzazione. Fu questo il momento in cui venne alla luce per la prima volta, il burattino più conosciuto al mondo, “Pinocchio”, creato da papà Carlo Lorenzini, in arte Collodi. Lo scrittore diede forma e volto ad una delle figure più interessanti di tutti i tempi.
Per la prima volta, il 7 luglio di quello stesso anno, Collodi propose al pubblico una storia nuova, in cui il protagonista era Pinocchio, un burattino di legno, creato dalle mani di mastro Geppetto. Pinocchio era capace di sognare e di avere tutti i sentimenti, le paure e la vitalità di un bambino vero. La straordinaria capacità di inventare situazioni comiche o grottesche fu senza dubbio uno dei più importanti punti di forza del libro; a questo dobbiamo poi aggiungere l’atteggiamento decisamente ambiguo del narratore, che apparentemente sta dalla parte del protagonista, anche quando si mostra “monello”, mentre il ruolo di ammonitore, che ricorda al burattino i suoi doveri o il comportamento socialmente accettabile, non è mai assunto dalla voce che conduce la narrazione. Ad esortare o rimproverare Pinocchio sono sempre alcuni personaggi esplicitamente deputati a farlo, primi fra tutti il Grillo parlante e la Fata dai capelli turchini.
I lettori del testo ottengono uno straordinario effetto: mentre il narratore porta avanti il suo avvincente racconto, condividendo errori e difetti, ma anche pregi e paure, i personaggi di contorno obbligano ad una severa riflessione sia sui comportamenti di Pinocchio, sia sulle conseguenze pericolosissime del suo agire sconsiderato o socialmente problematico.
In fondo qual è l’insegnamento pedagogico trasmesso?
Nel complesso, Pinocchio è un libro duro e, per certi versi spietato, nell’insegnamento che trasmette. Per chi sbaglia, non c’è compassione alcuna; a seconda dei casi, possono solo arrivare la severissima punizione del ribelle, oppure lo scherno e il riso da parte di chi osserva l’ingenuo che, dopo essersi lasciato ingannare, è scioccamente caduto nella trappola tesagli da qualcuno più furbo di lui.
Nell’insieme del romanzo, la figura che svolge il ruolo determinante nell’itinerario di formazione del protagonista è la Fata dai capelli turchini. Anche se viene chiamata «buonissima», e in effetti non si stanca di andare a recuperare Pinocchio nelle situazioni più disperate per dargli sempre un’ulteriore opportunità di redenzione, in realtà spesso si mostra severissima e non interviene se non al termine delle disavventure del burattino. Il messaggio di Collodi, in questo caso, riguarda anche i genitori, oltre che i figli: se ai bambini si lascia intendere che i genitori potrebbero arrivare troppo tardi, cosicché spetta a loro stessi evitare gli errori più gravi, agli adulti si dice senza mezzi termini che nell’educazione non c’è spazio per l’indulgenza.
Metafora del progetto pedagogico di Collodi è l’umanizzazione del burattino, che giunge come premio finale al termine di una molteplicità di premi e punizioni, che hanno ricondotto Pinocchio sulla retta via. Il metodo educativo si applica nel corso del racconto attraverso l’iterazione di una medesima struttura narrativa:
- Tentazione, qualcosa o qualcuno attira l’attenzione di Pinocchio e lo conduce verso qualche imbroglio illudendolo di ottenere dei beni (ricchezza, cibo, divertimento) senza alcuna fatica;
- Colpa, Pinocchio si macchia di colpe più o meno gravi;
- Punizione, Pinocchio subisce le conseguenze delle proprie azioni;
- Premio (salvezza), Pinocchio scampa alla punizione anche grazie all’intervento di aiutanti;
- Pentimento, Pinocchio confessa i propri errori e si pente delle proprie azioni, pronunciando i buoni propositi, che verranno smentiti non appena qualcun’altro o qualcos’altro lo tenterà nuovamente.
Secondo questa prospettiva il burattino di legno è metafora della giovinezza che si oppone al processo educativo e formativo: il mito del bambino che vuol rimanere per sempre tale, qui si risolve con l’accettazione graduale del processo di crescita, anzi negli ultimi capitoli il protagonista desidera fortemente che tale processo si attui. Nell’ultimo capitolo, finalmente, il meccanismo narrativo tentazione – colpa – punizione – premio – pentimento trova finalmente termine con il premio finale: l’umanizzazione del burattino si compie e con essa cambia lo status sociale del protagonista, che si ritrova in abiti borghesi in una casa pulita ed elegante.
Il centro della favola di Pinocchio è diventare uomini, maturare nonostante le avversità e i limiti della vita, sperimentare la felicità di amare e soffrire, sacrificarsi e realizzare il bene. È una favola molto attuale per il valore dato al rapporto padre-figlio, mai troppo scontato. È una favola che ha a cuore la famiglia senza idealizzarla.
Pinocchio diventa bambino. Pagina dopo pagina, tra fallimenti clamorosi e successi insperati, il burattino fa esperienza di vita, trovando la pienezza nel donare il proprio vestito, come aveva visto fare dal babbo Geppetto. Pinocchio insegna forse la più grande delle lezioni, che per la salvezza della nostra integrità morale, del nostro essere persone autentiche, occorre la verità, la conoscenza e il rispetto, ma è indispensabile anche trovare quella grande forza interiore che fa maturare nel dolore e nella sofferenza.
Articolo di Sara Persechino