Merito deriva dal greco “meiromai”, significa “ricevere la parte spettante” ed è ciò che una persona è degna di avere in virtù del proprio ingegno ed impegno. Meritocrazia è il sistema di valutazione degli individui, caratteristico del liberismo, basato sulla misura del loro merito. Sono due i tratti fondanti la meritocrazia: la selezione deve basarsi su una competizione dove vince chi ha più merito e chi vince merita dei premi, come migliore retribuzione e status sociale riconosciuto.
Come non essere d’accordo? Tutti vorremmo una società che esponesse i migliori politici, i migliori medici, i migliori dirigenti pubblici, i migliori ovunque premiati e posti al vertice delle organizzazioni per contribuire al benessere sociale. Questo dovrebbe accadere, a livello astratto, nelle moderne società occidentali che hanno fatto proprio il modello liberista seppure con molte varianti. Le cose però non sono così semplici… vediamo il perché!
A proposito del merito, la meritocrazia appare un criterio ormai anacronistico. La meritocrazia, appendice del liberismo, è competitiva ed individualista. Il problema è che il liberismo senza freni è insostenibile e sta devastando il Pianeta: in 100 anni di sviluppo capitalistico i consumatori dei paesi ricchi hanno distrutto 1/3 delle risorse non rinnovabili: minerali, foreste, suolo… Il modello liberista non può essere esteso ai 2,5miliardi di abitanti dei paesi in forte sviluppo, come Cina ed India, semplicemente perché non sarebbe sostenibile. La crisi climatica, la povertà crescente, le migrazioni di massa, l’inquinamento di acqua ed aria, le guerre per l’accaparramento delle risorse, sono solo le spie di fenomeni generati dall’attuale modello iper-consumista che, se non temperato, porterà presto ad una crisi globale di portata devastante. La meritocrazia come stampella del liberismo è un modello educativo che vuole governare il futuro guardando al passato, la cui applicazione sarebbe controproducente se si vogliono dare risposte efficaci ai problemi della Terra.
Il merito e il successo non possono più essere solo individuali ma devono essere condivisi all’interno di un modello cooperativo. Kenneth Boulding utilizza una metafora per rappresentare la nuova condizione dell’umanità: il cowboy e l’astronauta. Il cowboy è il paradigma del liberismo, considera le risorse come illimitate e le pianure sterminate territorio di conquista, mosso da una continua sete di rapina e consumo. Se poi le pianure sono abitate dai nativi, per il cow boy non è un problema, basta eliminarli. L’astronauta è il paradigma dell’economia cooperativa: ha consapevolezza del sistema chiuso che lo ospita, la navicella Terra che viaggia nello spazio siderale. Nella società del futuro, e la Scuola ne è parte, dobbiamo essere tutti astronauti: il cow boy vince da solo mentre gli astronauti giocano in squadra. La Terra va considerata una navicella spaziale, nella quale la disponibilità di qualsiasi risorsa è limitata, e perciò bisogna comportarsi come in un sistema ecologico chiuso capace di rigenerare continuamente i materiali utilizzati. La Terra è una soltanto, e solo dalla Terra gli umani possono trarre le utilità necessarie, e dato che le risorse non sono inesauribili questo impone due scelte: autodistruggerci o cooperare. I sistemi meritocratici alimentano competizione e disuguaglianze, tra gli individui e gli Stati, la strada migliore per autodistruggerci. Il modello cooperativo e solidale riconosce il merito e premia i migliori, ma insieme vuole garantire condizioni eque, pari opportunità, migliore distribuzione della ricchezza, condivisione delle risorse per vivere degnamente tutti, così come sono costretti a fare gli astronauti nella navicella. Vogliamo iniziare ad insegnare a bambini e ragazzi il valore della cooperazione e del gioco di squadra? Questo comporta ovviamente una profonda revisione della didattica, da frontale ad attiva e partecipativa, e di tutti gli strumenti di supporto, a partire dai testi scolastici. Dovremmo affrontare pure le questioni della valorizzazione della professione di insegnante, degli stipendi inadeguati, della burocrazia asfissiante, ecc., ma questo porterebbe il ragionamento troppo lontano.
A proposito del merito, è molto interessante l’osservazione statistica. Una molteplicità di studi dimostra che, se consideriamo l’universo dei bambini della Scuola primaria, emerge una costante empirica in tutti i paesi ad economia di mercato. Nelle cosiddette società del benessere i bambini che provengono dal 25% delle famiglie con il reddito più alto avranno sempre le migliori valutazioni scolastiche rispetto al 25% dei bambini che appartengono alle famiglie con il reddito più basso. Più il reddito delle famiglie è alto, migliore sarà mediamente il rendimento, a parte le eccezioni che non fanno la regola. Ripetiamo l’esperimento alla fine della Scuola media: i bravi&ricchi sono sempre più bravi e più ricchi, mentre i poveri vedono la loro distanza sempre più incolmabile. I bravi&ricchi hanno ottimi voti, godono di considerazione ed autostima, e questo accresce anche la loro determinazione o impegno (la seconda componente del merito) mentre i poveri subiscono una progressiva emarginazione, e non ne gioverà né il loro impegno né il loro talento. Anche l’impegno dipende, con le dovute eccezioni, dall’ambiente familiare, da chi sono i nostri genitori e dalla società in cui si vive. Che merito hanno i ricchi e che demerito hanno i poveri? Il merito ed il demerito è essere nati ricchi o poveri. Società diseguali producono questi risultati ed i sistemi scolastici aggravano le diseguaglianze perché non affrontano efficacemente la questione della stratificazione sociale in ingresso. Del resto la Scuola lavora con i bambini che le famiglie danno, le condizioni iniziali diseguali hanno un ruolo fondamentale nel determinare la qualità dell’esito del processo formativo: su quelle occorre lavorare prima di parlare astrattamente di merito. La diseguaglianza sociale è un processo che si autoalimenta, sulla quale la Scuola di oggi ha un’influenza pressoché nulla, determinata da una società sempre più competitiva ed individualista. Pur restando nell’ambito del paradigma meritocratico, anche qui sarebbero molte ed importanti le aree di miglioramento sulle quali operare, a partire dall’inclusività e da una maggiore attenzione alla formazione dei formatori.
A proposito del merito, supponiamo pure che si voglia fondare la nostra Scuola sulla meritocrazia. Chi vuole la meritocrazia deve specificare cosa intenda, come intenda raggiungerla e come misurarla con una metodologia oggettiva, altrimenti sarebbe alto il rischio di giudizi soggettivi ed arbitrari. L’ingegno è una predisposizione naturale: viene dal DNA, dalla famiglia, dall’ambiente, dalle esperienze. Come potremmo premiare un ingegno naturale, e quindi non meritato, e come potremmo dire che il bambino X ha più ingegno del bambino Y? Ed il più ingegno di X si manifesta su tutte le materie o su alcune materie Y appare più talentuoso? Non possiamo confrontare il merito di soggetti differenti impegnati in attività differenti o in circostanze nelle quali le variabili contestuali siano difformi. Applicare la meritocrazia senza affrontare il tema dirimente delle diverse condizioni in ingresso significherebbe giustificare una visione aristocratica e di casta fondata sulla disuguaglianza tipica delle economie liberiste, diseguaglianze che la nostra Scuola dovrebbe invece combattere (art.34 della Costituzione). Nelle società capitalistiche, basate sul consumismo e sulla ricerca ossessiva del profitto, la retorica meritocratica finisce per legittimare la classe dirigente: la meritocrazia è un meccanismo di trasmissione dei privilegi acquisiti, di amplificazione delle diseguaglianze e di colpevolizzazione di chi rimane indietro ed emarginato. Resta ovviamente la possibilità di valutare l’impegno, con l’avvertenza che anche l’impegno dipende in parte dall’ambiente e da chi sono i nostri genitori.
In definitiva, l’inserimento della parola “merito” nella denominazione del Ministero dell’Istruzione suscita perplessità. Quale strada vuole indicare questo segnale? Adottare acriticamente la retorica meritocratica come modello per la nostra Scuola, senza affrontare la priorità vera che è quella della valorizzazione della funzione docente, porterebbe solo a disastri per via della cristallizzazione delle ingiustizie generate da una società profondamente discriminante. Vogliamo sperare che non si smarrisca la già poca inclusività, e si lavori invece per una idea cooperativa di merito che voglia far crescere tutti e non soltanto i fortunati figli di fortunati a danno degli svantaggiati figli di svantaggiati.
Riferimenti bibliografici essenziali:
Barrotta P., I demeriti del merito. Una critica liberale alla meritocrazia, Rubettino, 1999;
Boulding K., The economics of the coming spaceship Earth, 1966;
Cunha, F., et al. 2006. “Interpreting the evidence on life cycle skill formation”. In: Hanushek, E.A., Welch, F. (Eds.), Handbook of the Economics of Education. North-Holland, Amsterdam, pp. 697–812, 2006;
Heckman J., The Intellectual Roots of the Law and Economics Movement., Law and History Review, 1997; Human Capital Pricing Equations with an Application to Estimating the Effect of Schooling Quality on Earnings, Review of Economics and Statistics, 1996;
Pelligra V., Istruzione, il ministero ora è anche del Merito. Ma attenti alla retorica, il Sole 24 Ore, 23 ottobre 2022.
Piero Carducci, economista e docente universitario, è stato per molti anni dirigente aziendale, amministratore e consulente di società pubbliche e private. E’ stato direttore della Scuola di formazione tecnica e manageriale del Gruppo Telecom (SSGRR Spa). E’ co-autore di diversi volumi per LS Scuola.
Maria Orifici si è laureata all’Accademia di Belle Arti di Roma. Ha maturato una particolare esperienza nei processi di pianificazione della formazione, nelle metodologie didattiche e nella valutazione dell’apprendimento. E’ insegnante nella Scuola secondaria di primo grado. E’ co-autrice di diversi volumi per LS Scuola.