Istituita dall’UNESCO, la Giornata mondiale degli insegnanti vuole sottolineare l’importanza della figura dell’educatore, invitando i governi a riconoscere il ruolo eccezionale degli insegnanti quali attori chiave per accelerare il progresso verso un’istruzione inclusiva, equa e di qualità per tutti. Forte l’invito a rafforzarli con la formazione, lo sviluppo professionale, una adeguata retribuzione, il sostegno e le condizioni lavorative di cui hanno bisogno per manifestare il loro talento, nel quadro di coerenti investimenti sul sistema dell’educazione di ogni ordine e grado.
Ma qual è la situazione italiana?
Le statistiche sono purtroppo impietose. Nel Belpaese la formazione è argomento buono per salotti e convegni, ma nella realtà si sta riducendo da anni, come nella Sanità, l’investimento pubblico nel sistema dell’istruzione, della ricerca e dell’Università. Dal 2000 al 2021 la percentuale di laureati è aumentata molto meno degli altri paesi occidentali, mentre la percentuale dei cosiddetti NEET (i giovani dai 25 ai 29 anni che non studiano e non lavorano) è al 21% (contro la media UE dell’11%). Occupiamo tra gli ultimi posti nell’area OCSE anche per il basso numero dei docenti rispetto agli allievi, per non parlare della qualità delle strutture scolastiche ivi compresa la dotazione digitale. Siamo tra gli ultimi anche per gli stipendi della Scuola: in Italia gli insegnanti guadagnano tra il 25 ed il 30% in meno rispetto ai colleghi degli altri paesi sviluppati, soprattutto nella primaria (-50% rispetto ai colleghi europei). Il Belgio, con appena 17mln di abitanti, spende per il “sistema istruzione” più del doppio dell’Italia, la Germania spende il triplo e valori simili presentano la Francia e ci danno i punti anche paesi “emergenti” dell’Est europeo.
L’Italia non solo è restata indietro, ma si sta adoperando efficacemente per peggiorare la sua posizione. Negli ultimi anni i paesi OCSE hanno speso in media il 5% del loro Prodotto Interno Lordo per la formazione primaria, secondaria e terziaria contro il misero 3,8% dell’Italia. Ed invece di cogliere l’occasione storica della denatalità per eliminare le “classi pollaio”, si preferisce sotto la sigla astrusa del “dimensionamento scolastico” ridurre il numero degli istituti per fare cassa sulla scuola.
I nuovi supereroi
Gli insegnanti italiani sono i peggio trattati in Europa, ma sono loro a mantenere in vita con il loro entusiasmo e dedizione una scuola allo sfascio sotto tutti i profili. Una Scuola emarginata da risorse insufficienti, poco considerata dall’opinione pubblica, inceppata dalla crescente invadenza di genitori sindacalisti dei figli, confusa da norme sempre più inadeguate, asfissiata da una burocrazia immensa che aggrava notevolmente e arriva a mettere quasi in second’ordine l’insegnamento. Loro sono i veri eroi, grazie a loro “eppur si muove”, nonostante l’impietosa realtà fotografata dalle statistiche.
Nella “Giornata dell’insegnante” i responsabili della cosa pubblica dovrebbero ricordare che non possiamo fare parte dell’Europa solo per gli obblighi e per la crescente spesa militare; gli insegnanti italiani hanno diritto ad essere europei anche per le retribuzioni, per il contesto di lavoro, per il riconoscimento sociale della loro funzione. Altrimenti si abdicherà al mercato anche nel settore delicatissimo della formazione, il lavoro di docente sarà sempre meno ambito, i giovani talenti non vorranno più insegnare e tutto ciò si andrà a riflettere sulla ulteriore diminuzione della qualità scolastica in Italia, con l’inevitabile aumento della dispersione e dell’analfabetismo funzionale. Risparmiare sull’educazione significa in definitiva fare un sicuro investimento sull’ignoranza. Si vuole forse questo? Cui prodest?