La “Giornata internazionale della Pace” suona quest’anno come una beffa ed insieme un monito. Una beffa, perché sono sempre di più i sanguinosi micro-conflitti in corso in tutto il Mondo, e siamo nel pieno di una drammatica guerra nel cuore dell’Europa che rischia ogni giorno l’escalation verso l’abisso. Un monito, perché dietro tutti i conflitti ci sono gli interessi delle grandi potenze dotate di arsenali nucleari, non possono essere vinti sul campo e resta una sola strada da praticare per una pace più o meno duratura: il compromesso insito nella diplomazia. Alla radice del problema, paghiamo i danni di un modello di sviluppo competitivo che genera uno stato di endemico conflitto tra i popoli, sempre più difficile da controllare. Tutte le “nobili” motivazioni addotte a sostegno della guerra non sono altro che falsità che spingono gli umani a farsi guerre volute in definitiva da potenti interessi economici, ma di cui le principali vittime sono i civili e soprattutto donne e bambini.
Qual è il compito della Scuola?
In un Mondo dove le classi dirigenti appaiono accecate dalla volontà di potenza è fondamentale che la Scuola educhi alla speranza ed al dialogo perché la costruzione della pace, intesa come stile di vita, è anche un problema pedagogico e la responsabilità della sua realizzazione è dell’educazione. Una educazione nuova, che porti alla formazione di un uomo solidale e cooperativo, unica possibilità per evitare l’autodistruzione al genere umano.
È bene chiarire che educare alla pace non significa educare all’utopica “assenza del conflitto”. Il conflitto fa parte della natura umana ed è inevitabile. Educare alla pace significa educare ad affrontare il conflitto in maniera diversa e creativa, perché è sempre possibile trovare una soluzione win-win, ovvero risolvere le dispute in maniera tale che nessuno perda e tutti i contendenti vincano. L’arte della diplomazia consiste nel prevenire i conflitti e le guerre, applicando gli strumenti della cooperazione e del dialogo, per arrivare ad un compromesso soddisfacente per tutte le parti in causa. La risoluzione della disputa è pacifica se nessuno vuole vincere tutto, e le parti in causa si mettono in una prospettiva di cooperazione.
Educazione come arma della pace
Il problema pedagogico dell’educazione alla pace è quello di far acquisire ai bambini una capacità di pensiero critico e di distanziamento rispetto ad uno status quo. Ciò significa in primo luogo educare a percepire ogni forma di violenza, successivamente educare alla possibilità di costruire un’alternativa ad un sistema sociale che ormai legittima la prepotenza e la violenza, anche degli Stati, a tal punto che neppure più la percepiamo.
Una immensa rivoluzione è necessaria per generare questa nuova umanità frutto di una rivoluzione educativa. Nella prospettiva dell’educazione come arma della pace, la Terra non è più preda da sbranare, ma va considerata come una grande nave in viaggio nell’Oceano cosmico, grande ma infinitamente piccola in confronto all’Universo, una nave nella quale la disponibilità delle risorse è limitata, e perciò bisogna comportarsi come in un sistema chiuso i cui limiti ecologici dobbiamo rispettare. Non è utopia costruire un nuovo ordine mondiale più equo e più giusto a partire dai bambini, una nuova economia etica e fondata sulla cooperazione solidale. Del resto non esiste alcuna possibile alternativa. Il disvalore della competizione fratricida – ci ricorda Noam Chomsky – porta inevitabilmente alla guerra di tutti contro tutti, alla fine di una umanità che, a differenza dei dinosauri, si estinguerebbe esclusivamente per la propria follia.