“Prof, ma è bellissimo!” questo mi disse Alessio, studente della 2° Geometri, che inizialmente non era affatto convinto di fare da tutor ad un bambino della primaria in quella che per lui, studente delle superiori, era la prima esperienza di Peer education (fig. 1).
Già, perché non è mica scontato che studenti adolescenti, soprattutto se maschi, accettino con entusiasmo di lavorare in coppia con un bambino o una bambina in una “sfida a tu per tu”. Bastano però pochi minuti di conoscenza per dimenticare il timore di non fare bella figura e farsi conquistare dalla curiosità e dalla voglia di fare del compagno più giovane.
Nella scuola in cui ho insegnato per una vita, l’Istituto Vittone di Chieri (TO) ho iniziato a proporre esperienze di Peer education fin dall’anno scolastico 1998-99 e questa tecnica didattica è risultata così efficace ed entusiasmante per alunni e docenti che poco per volta è diventata virale, si è allargata a quasi tutte le discipline e negli anni ha accolto classi della primaria e della secondaria di primo grado non solo di Chieri, ma anche dei dintorni.
Allora non si parlava ancora di competenze, ma per uno studente delle superiori mettersi in gioco per accompagnare un compagno più piccolo per esempio in un percorso di ricerca scientifica sperimentale, o in altra sfida di diverso ambito disciplinare, che cos’è, se non una prova di competenza? Se, come ben sappiamo, le componenti della competenza sono gli apprendimenti, le responsabilità e le strategie, è evidente che in una attività di peer education tutte queste componenti vengono richiamate, a patto naturalmente, che allo studente venga lasciato ampio protagonismo. Chiarito con la classe dei tutor “a quale problema” sorto nella classe dei più piccoli si cercherà di dare risposta, il docente deve fare un passo indietro e delegare agli studenti tutor la progettazione dell’attività limitandosi ad una azione di coordinamento. Nel caso dell’immagine che vede Alessio al lavoro con il suo piccolo compagno il problema era il seguente: nelle ore di scienze i bambini di una classe seconda primaria avevano mescolato polveri e liquidi e avevano osservato le caratteristiche dei miscugli ottenuti. Era poi sorta la domanda “è possibile smontare di nuovo i miscugli e recuperarne i singoli componenti?” I bambini e la loro insegnante avevano tentato qualche separazione, ma in mancanza di strumentazioni adeguate, i risultati erano stati poco soddisfacenti. Ecco allora l’idea di chiedere aiuto agli studenti del Vittone portando loro i miscugli da separare insieme (fig. 2).
Negli anni tante classi hanno frequentato i laboratori di chimica e di fisica del Vittone, qualche volta le esperienze attuate sono state le stesse eppure sono sempre state diverse, perché diversi erano gli studenti grandi e diversi i bambini ospiti. Per raccontare queste bellissime attività dovrei utilizzare verbi al passato, ma il ricordo è così vivo ed emozionante che mi perdonerete se continuo usando il presente. Quale che sia il problema da risolvere nella classe tutor studentesse e studenti progettano le attività da svolgere, redigono gli elenchi delle attrezzature che presumibilmente occorreranno (ad esempio nel caso dell’esperienza scientifica di separazione dei miscugli servono filtri, imbuti, contenitori, centrifughe, calamite, ecc), fanno un cronoprogramma tenendo conto del tempo a disposizione (quanti minuti dedicare all’accoglienza, quanti alle attività, quanti al confronto e alle conclusioni condivise), decidono quali materiali predisporre a supporto dell’esperienza (disegni, tabelle, schede e, perché no, fumetti e racconti) e come si suddivideranno i ruoli (chi farà il tutor, chi redigerà le schede di osservazione, chi si occuperà della registrazione video).
Già in questa fase il docente osservatore/accompagnatore ha modo di monitorare molti indici di competenza rispetto allo spirito di iniziativa, alla capacità di collaborare, di proporre strategie, di produrre materiali adeguati a motivare ed aiutare l’apprendimento degli alunni ospiti[1] (fig. 3).
Arriva il giorno previsto per l’attività. Accompagnati dalla loro insegnante i bambini arrivano. Chi è più emozionato? I bambini che entrano nella scuola dei grandi, in un laboratorio pieno di cose strane e da studenti che li attendono per lavorare con loro o le ragazze e i ragazzi che guardano questi bimbi chiedendosi “come sarà la mia bambina o il mio bambino? Sarà simpatico/a? Sarò capace di fare bene o farò una figuraccia?” Difficile dirlo perché l’emozione è tanta in tutti. Le esperienze di peer education sono preziose e come tutte le cose preziose devono anche essere contingentate. I miei studenti non hanno mai fatto più di due esperienze all’anno e ho fatto in modo che si confrontassero sempre con problemi diversi sia per mantenere viva l’emozione, sia per farne un momento impegnativo e di crescita disciplinare, relazionale e di responsabilità. Il tutor infatti deve saper mettere a proprio agio il compagno più giovane per conquistarne la fiducia, deve saper rinunciare a mettersi in mostra per rendere protagonista il bambino sollecitandolo a fare osservazioni e a formulare ipotesi circa ciò che sperimentalmente può essere fatto, aiutandolo nelle fasi operative e interpretative (fig. 4).
Durante l’attività gli insegnanti delle due classi hanno modo di scoprire molto dei loro reciproci alunni, tanto dei grandi quanto dei piccoli. Soffermarsi ad ascoltare come una studentessa o uno studente si adopera per condurre l’esperienza, quali domande pone per attivare nel compagno dei ragionamenti, se sa fornire spiegazioni chiare, se usa un linguaggio adeguato all’età del bambino, tutti questi indizi svelano moltissimo non solo delle conoscenze disciplinari, ma anche dei processi metacognitivi e delle reti mentali che sostengono le conoscenze. E che dire dell’impegno messo in campo dagli studenti “scolasticamente più deboli”, impegno apprezzato dai bambini che percepiscono l’emozione del grande e la documentano nei giudizi che redigono nei giorni successivi “Il mio tutor qualche volta non sapeva spiegare proprio bene e allora la voce gli tremava un po’”.
Così come gli studenti, anche gli alunni della primaria rivelano alle loro insegnanti preziosi indizi di competenza: bambini che in classe sono difficilmente gestibili, affascinati dalla scuola, dalle attrezzature, ma soprattutto dall’avere un ragazzo o una ragazza che si occupa esclusivamente di lui, si comportano benissimo, sono attenti, motivati, partecipi e rivelano interessi e capacità talvolta inaspettati. Spesso sono invece i bambini, e soprattutto le bambine, scolasticamente migliori che, frenate da un eccessivo autocontrollo, faticano a esprimersi, salvo poi a rivelare entusiasmo e apprezzamento al ritorno nella propria scuola.[1]
Con l’aiuto di colleghi e colleghe nel 2005 ho organizzato il convegno “Nuove metodologie nell’insegnamento delle Scienze: Peer education e Cooperative learning” e nel 2010 il convegno “Peer education e competenza scientifica”.
In quest’ultimo caso il discorso di benvenuto è stato fatto da una mia studentessa di una 5° Geometri che nella primavera del 1999, era una delle piccole alunne venute al Vittone per la prima esperienza di Peer education. Mentre sullo sfondo scorrevano le immagini di quel lontano giorno Elisa ricordava la sua emozione di bambina e raccontava di tante altre emozioni provate successivamente quando invece è toccato a lei di svolgere il ruolo di tutor.
Il cerchio si era ormai chiuso? Sì, ma nella didattica è sempre meglio pensare ad una spirale che apre a continuazione e crescita e anche a nuove idee e nuovi progetti.
Daniela Lanfranco è Laureata in Chimica. Con l’Associazione “Il Baobab, l’albero della ricerca”, da tanti anni si occupa di ricerca didattica, divulgazione e formazione. Già insegnante nella scuola superiore, ha svolto ricerche sulle tecniche inclusive d’aula organizzando seminari e convegni. Già membro del Direttivo della DDSCI (Divisione Didattica della Società Chimica Italiana) e consulente del MIUR (Comitato Scientifico del Piano Nazionale ISS), è stata docente a contratto presso la Scuola di Specializzazione SSIS dell’Università di Torino, formatrice presso UST di Torino, USR Piemonte e Piano Nazionale Formazione Docenti. Per anni collaboratrice de “La Vita Scolastica (Giunti Scuola), è autrice di pubblicazioni didattiche e libri.
Note:
[1] Rispetto alla valutazione dialogata che noi dell’Associazione “Il Baobab, l’albero della ricerca” ora proponiamo gli indici di competenza monitorabili in una esperienza di Peer education potrebbero essere i seguenti: Adotta atteggiamenti adeguati al contesto – Mette in atto strategie per favorire l’apprendimento – Sa assumere e portare a termine ruoli di responsabilità – Sa operare in gruppo (indici rivelatori delle responsabilità), Propone e attua strategie per risolvere problemi (per gli apprendimenti), Sa esprimere ciò che ha appreso ricorrendo anche a registri linguistici diversi in relazione a destinatari diversi (per le strategie).
[2] Anche nella classe dei piccoli, come in quella dei grandi, le esperienze di peer education, esaustive in se stesse data la loro complessità, si prestano alla valutazione delle competenze da parte dei docenti e all’autovalutazione da parte degli alunni (bambini e tutor) e dunque alla elaborazione dei profili di competenza ed al relativo dialogato confronto.
Bibliografia
D.W.Winnicott, Sviluppo affettivo ed ambiente, Armando Ed., Roma, 1995
Durkheim, Le regole del metodo sociologico, trad. it. Ed. Comunità, Milano, 1979
De Bono, Il pensiero laterale, BUR, Milano, 1996
Piaget, Dal bambino all’adolescente: la costruzione del pensiero, La Nuova Italia, Firenze, 1994
L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Laterza, Bari, 1992
D.P Ausubel, Educazione e processi cognitivi, F. Angeli Ed., Milano, 1995
Pera, La chimica e le relazioni nell’area di progetto in Insegnanti di qualità. I percorsi di formazione, Giornate di studio sulla formazione scientifica nelle scuole secondarie, Trieste 3-5 maggio 1999, pag. 293, Ed. Università di Trieste, 2000
Carpignano, D. Lanfranco, G. Manassero, T.Pera, La Chimica come disciplina orientante, in Atti XI Congresso Nazionale di Didattica Chimica, Bari, 12-16 dicembre 1999, pag. 357, 2001.
Lanfranco, T. Pera, G. Manassero, R. Carpignano. Esperienze di Peer Education per orientare al piacere della Chimica, la Chimica nella Scuola, CnS, XXIII, n. 5, p. 157 (2001);