Oggi ricorre la Giornata contro lo spreco alimentare. Nei paesi “ricchi”, come Stati Uniti ed Europa, oltre il 50% del cibo prodotto viene sprecato e la maggior parte dello spreco riguarda proprio il consumatore finale. Evidente l’importanza della questione: se si riducessero le perdite alimentari si potrebbe garantire più cibo per chi invece non ne ha, ridurre l’effetto serra, allentare la pressione sulle risorse naturali e aumentare la produttività nel quadro di una crescita economica sostenibile, ovvero tale da salvaguardare le risorse della Terra per le future generazioni. Tuttavia, la crescente domanda di generi alimentari viene gestita incrementando la produzione agricola, anziché provare prima a ridurre gli sprechi, scelte che portano alla desertificazione, all’impoverimento del suolo e peggiorano in tal modo la pressione della filiera sull’ambiente e su un patrimonio di risorse naturali esausto e sempre più esiguo.
In verità questi comportamenti “produttivistici” trovano il loro fondamento nel tipico approccio allo sviluppo che ha contraddistinto l’era moderna: lo spreco alimentare si configura come un fenomeno connaturato all’espansione dei sistemi economici capitalistici, per cui ai produttori generalmente interessa vendere e fare profitti, senza minimamente curarsi dello spreco domestico.
La questione va invece affrontata alla radice, con una massiccia opera di educazione a partire dalla Scuola dell’infanzia. La cultura è un moltiplicatore di risultati, grazie alla sua capacità di attivare e orientare le energie delle persone in forma collettiva. È necessario pertanto educare i bambini ad un diverso rapporto con il cibo, passare dalla lotta allo spreco alimentare visto come fenomeno specifico ad una più articolata consapevolezza sul rapporto tra alimentazione, benessere e salute del Pianeta. Pure occorre recuperare le radici culturali del valore del cibo, la convivialità, le virtù della Dieta Mediterranea che predilige legumi, vegetali e carni bianche al posto del massiccio ed insano consumo di grassi, zuccheri e carne rossa tipici del modello “fast food”. Ciò significa che le politiche anti-spreco, per poter essere efficaci, devono modificare l’attuale paradigma di consumo e recuperare le radici culturali del valore degli alimenti, favorendo la diffusione di pratiche centrate sulla visione del cibo come bene collettivo.
Formazione e sensibilizzazione: sono le questioni fondamentali da affrontare per diffondere consapevolezza sull’importanza dell’alimentazione e prevenire gli enormi sprechi. Di qui la necessità di adoperare un approccio sistemico alla questione dello spreco che la integri all’interno di politiche di formazione e di sostenibilità, come sta emergendo dalle esperienze internazionali più innovative.
La questione dello spreco alimentare, se vuole essere affrontata con successo, va riportata nel giusto ambito teorico, per cui il sistema alimentare deve essere integrato nei limiti ecologici del Pianeta, che sono del tutto incompatibili con l’aumento indeterminato dei consumi, dell’estrazione di risorse naturali, della degradazione dei flussi di materia ed energia non rinnovabili e della perdita allarmante di biodiversità operata secondo i modelli economici lineari attualmente prevalenti a livello globale ed abbracciati pure dai paesi che si muovono verso sentieri di accelerato sviluppo. Il consumo di cibo è, per sua natura, una esperienza culturale unica e specifica dell’uomo. Quello tra alimentazione e cultura è infatti un legame che è stato indebolito da decenni di massificazione, appiattimento, ricerca forsennata del profitto, mode malsane, diffusione di cibo spazzatura e pubblicità ingannevoli. Gli eccessi di comunicazione e la “spettacolarizzazione” del cibo (food glamourising) hanno portato indubbiamente a significative alterazioni dell’uso simbolico, stimolando stili di vita insostenibili per salute e ambiente, nonché alla generazione del massiccio e vergognoso spreco alimentare.