Ricorre oggi il Giorno della memoria. 27 gennaio 1945, l’Armata Rossa libera Auschwitz ed apre gli occhi del mondo sull’orrore dei campi di sterminio. Il genocidio degli “indesiderabili” perpetrato dai nazifascisti aveva provocato 15 milioni di morti, 6 milioni erano ebrei e 2 milioni bambini e ragazzi sotto i 12 anni di età.
È il caso di parlare ai più piccoli dell’Olocausto? L’Olocausto rappresenta una immane tragedia che sconvolge la coscienza dell’essere umano, e come educatori non possiamo evitare di affrontare l’argomento. Dobbiamo parlarne ai bambini, portarli ad una riflessione corale su questioni delicate come momento di formazione delle loro coscienze, farli ragionare sulla diversità come ricchezza e non come ostacolo da eliminare. Dobbiamo certo parlarne in maniera semplice e non retorica, basandoci sui fatti, senza mostrare particolari cruenti ed evitando stress emotivi dovuti al carico eccessivo di angoscia. La verità va raccontata favorendo l’elaborazione personale ed evitando paura e confusione; molto importante è l’utilizzo del linguaggio figurato e di parole scelte molto accuratamente in riferimento alla fascia d’età.
I bambini hanno una straordinaria capacità di mettersi nei panni degli altri, una naturale empatia che li conduce ad immedesimarsi con tutti i bimbi vittime dell’Olocausto e con quelli che ancor oggi vivono la fame, la guerra e le discriminazioni di ogni genere. L’Olocausto va spiegato con le parole che i bambini conoscono, con l’aiuto di storie, leggendo frammenti di Anna Frank, se possibile vedendo insieme brani scelti di film come “La vita è bella” o “Il bambino con il pigiama a righe”. Introdurre delle storie porta dalla fredda dimensione della ragione a quella del sentimento. La storia permette di trattare argomenti complessi in maniera semplice, la storia è potente perché evoca, stimola l’emotività, permette al bambino una personale interpretazione, favorisce il pensiero come processo e non come pensato. La storia è più potente di qualsiasi descrizione dei fatti e la sua coerenza dà coesione agli eventi sincronici e diacronici.
Il racconto non deve essere apodittico, condotto per slogan e preconfezionato, ma deve essere autentico e condurre il bambino ad ascoltare, a riflettere, ad interrogarsi, a non dare nulla per scontato. L’obiettivo non è tanto quello di vedere bensì quello di sentire l’Olocausto, in un percorso sensoriale di crescita della coscienza. Certamente occorre una grande attenzione nella gestione dell’aula da parte dell’insegnante; se il tema viene ben introdotto, susciterà grande curiosità e per la nostra esperienza ne verranno fuori decine di domande! La risposta a queste domande deve accogliere le loro emozioni ed offrire una possibilità di esercizio di pensiero critico, una chiave di interpretazione personale, chiara ed emotivamente sostenibile. Oggi più che mai dobbiamo insegnare ai bambini a pensare “perché la vera istruzione è insegnare alla gente a pensare da sola” (Noam Chomsky).
La “Giornata della memoria” potrà così trovare un significato, nel costruire un clima comunitario sensibile, riflessivo e rispettoso degli altri. Formare una coscienza critica di un bambino ed educarlo al rispetto è possibile, trasformare un adulto estremamente difficile. Ma per ricordare occorre sapere, e tutti i bambini di oggi, adulti di domani, devono conoscere per ricordare.
In questo periodo di grande incertezza e di irrazionale furia bellicista, alla “Giornata della memoria” possiamo assegnare una nuova responsabilità: la protezione del genere umano da se stesso, da ogni forma di oppressione, dal delirio di sterminio. In un Mondo di sopraffazione, dove comanda il cinismo del profitto assoluto e dove homo homini lupus, sconvolto da oltre 60 guerre di cui non si parla, ad eccezione di quella Ucraina, ricordare consapevolmente è un dovere per agire attivamente, e provare a scongiurare l’orrore di una possibile terza guerra mondiale, Olocausto dell’intera umanità.